E’ lecito andare in piazza per uno sciopero generale, così come è lecito decidere di non alzarsi portando via la palla, restando al tavolo per un confronto duro e difficile col Governo. Sono idee differenti di azione sindacale. Tutte belle, Tutte lecite.
Perché è lecito tutto. Tranne gli insulti.
Venerdì scorso è passato davanti agli uffici reggiani di Cisl quello che sembrava un bel corteo, con bandiere rosse Fiom e Cgil al vento e fischietti tonanti. Ad un certo punto, in due diverse ondate, molti hanno sentito l’irrefrenabile bisogno di iniziare a gridarci “venduti, venduti”. Perla impreziosita con “andate affanculo” e “vergogna, vergogna, vergogna”, frasi che non mi risultano siano scritte nella prima edizione di Das Kapital.
Ora, nulla accade per caso.
Da mesi soffia un venticello calunnioso nei confronti della Cisl e della nostra proposta di legge per la partecipazione dei lavoratori nelle imprese.
Si è iniziato a parlare di “operazione simpatia verso il Governo” in un brutto intervento pubblico per il quale l’autore si è poi scusato. In privato.
E via via che migliaia di persone hanno firmato la proposta di legge sono aumentate le pressioni e il giochino narrativo che vuole la nostra proposta come una sorta di rispostina al salario minimo.
Sono arrivate telefonate a soggetti istituzionali che avevano la colpa di aver sostenuto con la loro firma la partecipazione dei lavoratori nelle imprese e quindi la Cisl.
Sui social c’è chi chiede pubblicamente conto ai Sindaci del Pd della loro firma a nostro sostegno.
Potrei andare avanti ma il concetto è chiaro: gli insulti che ci ha dedicato il corteo dell’altro giorno non sono un caso isolato di istrionismo sopra le righe né “una opinione permessa dalla Costituzione”, come ha scritto un dirigente di una categoria Cgil ad un suo omologo.
Non credo che qualcuno abbia il diritto di attribuire alla Cisl la patente di ciò che è giusto o è sbagliato. Credo invece che qualcuno avrebbe prima il dovere di leggere “La patente”, prodigiosa novella di Luigi Pirandello, per capire il suo giusto posto nella società.
Più o meno quello di un moderno Compagno Folagra, la leggendaria figura che spiegava in sala mensa a Fantozzi che “in un collettivo urbano dobbiamo pensare ad una una cogestione che sia proliferante in senso sobrio”.
Chiedere e aspettarsi delle scuse non è bello, diciamo che osserveremo curiosi quel che verrà. Consiglio non richiesto: adottare la tattica del bel tacer che non fu mai scritto se gli argomenti dovranno essere cose tipo “ero in testa al corteo e non ho sentito”. O che insultare ce lo permette la Costituzione.